lunedì 25 luglio 2011

“Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”

[..] I sogni la sfinirono. 
Dall’ insonnia passò a sonni profondi, travagliati; mentre i 'Sogni' le disintegravano l’anima ogni notte. Anzi no, la disintegravano al mattino o al risveglio, ché non sempre combaciavano. 

Un mattino che diveniva una lotta contro i pensieri lunga ventiquattro ore. Giorno dopo giorno.
Anche quella notte erano stati insieme. In casa sua, seppure fosse una casa diversa da quella che aveva conosciuto. Erano tranquilli, quasi come se fosse normale trovarsi lì. Era legato, proprio come nella realtà. Lo era sempre nei suoi sogni. Il peso di questa verità era così forte da non abbandonarla nemmeno nella finzione. Ma non voleva staccarsi da lui. Le diceva di stare tranquilla, proprio come sei mesi prima, quando lei, in casa sua, c’ era davvero. Suonava strano però in quell' oggi, perché le cose erano un bel po' diverse. Adesso lui era proprio 'fidanzato'. Più di quanto non lo fosse allora, pensò.
C’ era la sua famiglia, quella famiglia che non aveva mai conosciuto. Nessuno badava a lei, mentre lui non si staccava un attimo. E mentre si spostavano da una stanza all’altra, in quel girare insensato all’ interno della grande casa illuminata, lui continuava a toglierle i vestiti. Uno per volta. Senza però spogliarla mai. 
Diceva che voleva fare l’ amore con lei. 

Ecco il punto. Ecco cosa diceva. Ed ecco il momento in cui faceva  male. Come la parte migliore di un film che ti porta il cuore in gola e rallenta il fiato. 
La stessa sensazione di quando ormai si erano spogliati, di fretta, quella notte di un passato remoto. Nessun preliminare, dopo mesi di preliminari mentali. Nessuna parola, dopo mesi di parole dette e scritte. 

Poco dopo era dentro di lei. 
Non aveva mai sentito nessun altro così suo. 
E non s'era mai sentita appartenere così a nessun altro.
Non glielo avrebbe più permesso.


Ed  in quel silenzio riempito dai loro respiri, urlava un amore disperato.
Quanto l’ aveva amato in quel lungo istante. Quanta vita c’era in lei. 

“Ma risulto stronzo anche se ti dico che adesso mi dispiace un po' di più non rivederti mai più?” …

le sue parole del dopo, con un “più” di troppo. 
'Lui così attento a ciò che scrive. Lui che è un Dio, quando si tratta di parole.'
Anche lui doveva essere provato. Quell’ errore a testimoniare la sua confusione. Come una debolezza momentanea. 
Perché non s’ eravano scambiati i corpi. 

Quella è roba da gente normale.
Quelli come loro si scambiavano le vite. 
E lei non era mai riuscita a dirgli che mentre si fondevano piangeva. Lui non doveva aver visto la sua faccia contorcersi in un misto di disperazione e godimento. 

Lui non aveva sentito la sua voce muta, urlare “ti amo”. “Ti amo.” Dannazione ti amo. Sono tua. Tienimi. Sono tua. Voglio esserlo per sempre. Per sempre.
Ed esattamente come quel giorno, anche quella notte lui voleva fare l’ amore con lei. Non posso più aspettare, le diceva. Le toccava le spalle. Era sempre dietro di lei, ad un passo di distanza. Senza lasciarla mai. Continuava a tenerla.



'Ci sono, diceva senza mentire.'
Poi il risveglio. 
Niente di erotico. Niente di eccitante. Niente sesso. 
Solo amore.
E quella sensazione, sempre la stessa, di una mancanza incolmabile. Di un desiderio troppo forte.
Innaturale e spaventoso. Un dannato buco nero. Un buco che porta il suo nome. 

E la paura di un amore che è una malattia.

Di un vuoto infinito chiamato assenza. 

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